Le Sacre, Il Balletto - Lem56

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Le Sacre, Il Balletto

classica > XX° le Avanguardie

Le Sacre, Il Balletto

A torto Stravinsky individuò nella coreografia di Nizinsky uno dei motivi dell’insuccesso della prima del Sacre.
Anzi fu una coreografia nuova tanto quanto la stessa partitura musicale. Coreografia ricostruita e rappresentata dal Joffrey Ballet's nel 1987 e qualche tempo fa, in occasione del centenario del Sacre, trasmessa da Sky Classica, coreografia originale che vi propongo per la visione:
Adorazione della terra:
- Sacrificio:

Lascio ad Anna Quinz, nell’articolo che riporto per intero, il compito di ragionare sulle coreografie del Sacre.

“Dopo la prima “apparizione pubblica” del Sacre du Printemps di Igor Stravinskij, tutti gridarono al capolavoro. E giustamente. È un capolavoro. La musica rapisce anche l’orecchio meno esperto, e non si può non farsi trasportare dalle note e dalla danza. Perché il capolavoro di Stravinskij, nasce nel 1913 per i Balletti Russi di Diaghilev, che presentarono al pubblico le danze arcaiche ma ipercontempranee del genio folle di Vaclav Nizinskij. Da quell’esordio, da quella prima adorazione della terra, dal quel primo sacrificio dell’eletta, di acqua sotto il ponte danzante del Sacre, ne è passata molta. Molti infatti i coreografi che si sono confrontati con quest’opera musicale e con questa “storia” che affonda le sue radici nelle più profonde radici dell’essere umano. Il Sacre di Nizinskij era per l’epoca una vera rottura con tutto ciò che di danzato c’era stato prima, segnò un punto fondamentale nella storia del balletto e dichiarò a gran voce il nuovo, nonostante costumi  scene e atmosfere fossero radicate nell’antico. Riti, rituali e sacralità, il sacrificio umano, la natura imperiosa nei suoi cicli costanti e immutabili, il corpo primitivo a contrasto con il corpo contemporaneo. Tutto questo è nel Sacre, e nei Sacre che seguirono. Dall’atto eroico al femminile dell’Eletta, secondo la riscrittura coreografica di Mary Wigman, fino alle linee pure ed eteree di Maurice Bejart, che delineò un rito minimal, dove il sacrificio scompare per lasciare il passo alla forza incalzante di mani e braccia e cerchi e geometrie non fredde. Da Mats Ek, che stravolge alla base la storia originaria, portando il Sacre nel giappone tradizionale, facendone un rito familiare incentrato sul concetto di autorità paterna, fino al rito sciamanico della grande madre del contemporaneo, Martha Graham.

E poi, tra i tanti piani di lettura possibili, tra le tante sfumature da cogliere, tra i tanti linguaggi incrociati, arriva lei, la grande Pina Bauch, che con i suoi meravigliosi interpreti del Wuppertal Tanztheater, porta sulla scena un’altra Sagra ancora della Primavera, un altro rito e un’altra meraviglia sulle note magiche di Stravinskij. Sul palco, uno strato di terra, e i danzatori nei loro gesti quasi ossessivi, ripetuti e ripetuti, intorno e accanto all’Eletta, la vittima sacrificale, in rosso. Chi l’ha visto sa di che si tratta, chi ne ha visto qualche spezzone nel bel film di Wim Wenders dedicato alla coreografa tedesca, anche. Il Sacre di Pina è un evento non solo scenico ma umano che coinvolge, che immerge il pubblico in un esperienza estetica ed emozionale al limite delle perfezione.

E il grandioso, ma semplice nella sua pura sostanza, di Pina, arriva a Bolzano Danza. Non con i danzatori di Wuppertal, ma grazie al lavoro di certo stupefacente di Roger Bernat, che ribaltando le prospettive, e la rassicurante relazione tra chi “fa” e chi “guarda”, mette in scena un Sacre diverso anche se uguale a quello pensato dal cuore della Bausch. Lo spettatore sarà di nuovo immerso nel rituale, ma non come osservatore protetto dal buio della platea. Lo spettatore entrerà nel Sacre di Pina, molto più che nel 3D del film di Wenders, che già permetteva un’immersione forte e coinvolgente. L’effetto è tutto da scoprire, il Sacre tutto da vivere, perché, come ogni rituale, non può funzionare senza la fede e la partecipazione attiva, e anche un po’ di sacrificio.” (Anna Quinz)


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