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Pratella

classica > XX° le Avanguardie

Francesco Balilla Pratella
Lugo, 1 febbraio 1880 – Ravenna, 17 maggio 1955

Francesco Balilla Pratella nacque in un ambiente familiare favorevole alla musica. Il padre suonava la chitarra e dava lezioni al figlio fin da quand’era piccolo. Nel 1899 è ammesso al conservatorio di Pesaro e segue i corsi di Mascagni e Cicognani e nel 1903 si diploma in composizione.
È interessato ai canti popolari della sua regione che influenzeranno la scrittura di cinque poemi sinfonici intitolati Romagna, in seguito approdarono nell'opera dialettale La Rosellina dei Vergoni.

Il 20 agosto 1910 Pratella esegue l'intermezzo de La Rosellina dei Vergoni al Teatro comunale di Imola ed è qui che fa la conoscenza di Marinetti. A Parigi conosce Luigi Russolo ed entra a far parte a pieno titolo del gruppo di artisti futuristi. Lo stesso anno Pratella redige il Manifesto dei musicisti futuristi (11 ottobre 1910) che sarà seguito dal Manifesto tecnico della musica futurista (11 marzo 1911) in cui si proclama l’atonalismo, l’enarmonia e la polifonia in senso assoluto e il ritmo libero, poi scrive la Distruzione della quadratura (18 luglio 1912).

A partire dal 1911 la casa di Pratella, una villa situata poco fuori Porta Faentina, diventò un punto di riferimento per pittori, musicisti e letterati attratti dalle correnti espressive di cui Pratella era uno dei più rinomati esponenti. Tra i personaggi che frequentarono il "cenacolo artistico lughese" si possono annoverare: Giorgio Morandi e Osvaldo Licini, studenti dell'Accademia insieme al lughese Giacomo Vespignani, al giovane Filippo De Pisis; dallo scrittore Riccardo Bacchelli allo scultore Domenico Rambelli; dal pittore Roberto Sella a Nino Pasi.

L'”Inno alla vita” per pianoforte, è la sua prima composizione ad aderire ai principi musicali futuristi, è presentato al Teatro Costanzi di Roma il 21 febbraio 1913 in occasione di una “serata futurista”. Nel 1913 comincia a comporre L'aviatore Dro, la sua seconda grande opera futurista, nella quale introduce un’orchestra mista di strumenti tradizionali e d’intonarumori. Finisce di comporla nel 1920 e la porta in scena il 4 settembre 1920 al Teatro Rossini di Lugo.

La totale libertà espressiva già proclamata da Marinetti in poesia viene da Balilla Pratella tradotta in musica coll'uso cosciente del rumore, prodotto dagli intonarumori di Luigi Russolo.
Quanto queste intenzioni si traducano nella pratica musicale è ancora ben da chiarire, del resto è evidente come le opere di Pratella rimangano ancora legate al linguaggio musicale tradizionale non accademico e cosciente delle esperienze delle avanguardie parigine. Eppure le loro prime esecuzioni scatenarono lo stesso risse tra pubblico e futuristi, sedate alla fine dall'intervento della polizia, ma qui si entra nel campo della serata futurista, della provocazione per provocare anche senza una vera e propria provocazione artistica.

Interventista e nazionalista, prende progressivamente le distanze dalle musiche di Debussy, Schoenberg, Mahler o Ravel.
Nella seconda parte della sua produzione, tornato a stabilirsi in Italia, trascorre la vita in Romagna dove prende contatto col musicista forlivese Martuzzi e pone le basi per studi sistematici sul folklore romagnolo, fondamentali e pioneristici per l'Italia, paralleli a quelli di Bartòk e Kodaly. I risultati delle sue ricerche sono la base di partenza per l'armonizzazione a cappella per coro a voci miste dei canti della sua terra.
Oltre alla sua attività di compositore Pratella promuove la musica futurista scrivendo articoli nelle riviste dell'epoca.
Si spegne a Ravenna il 17 maggio del 1955.

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